L'emergenza esiste finché se ne parla. La guerra è un punto di vista?


L'altro giorno parlavo con alcune persone di un evento benefico che sto organizzando per raccolgiere fondi per l'Afghanistan. Uno di loro mi ha detto: " Ma ti conviene fare ancora questo evento? Perchè, sai, adesso parlano tutti dell'Ucraina. C'è l'emergenza dell' Ucraina. Interesserà ancora a qualcuno l'Afghanistan? Adesso organizzaranno tutti cose per i bambini ucraini." 


Se già è difficile capire dove stia la verità in tempi di cosiddetta "normalità", figuriamoci in tempi di crisi. Come diceva un mio caro professore " Il mondo è fatto dalla menzogna". E noi siamo in mano ai media, a cose riportate da persone che ne riportano altre. Capire davvero cosa accade è molto difficile. Quello che è chiaro e che ciò che sta capitando ai civili in Ucraina è una tragedia, la guerra è sempre una tragedia, e chi non ha mai vissuto la guerra non può nemmeno immaginarla davvero.

 

Ma c'è un triste ritorno, un deja-vu.  Perchè se la mia mente ritorna ad agosto 2021, vedo lo stesso affanno, la stessa frenesia mediatica instancabile, la preoccupazione e la pena per il popolo afghano abbandonato nelle mani dei talebani, con le scene inumane dei piccoli strappati alle madri e la fuga dei disperati all'aeroporto. Vedo un incessante caccia al sopravvissuto, all' afghano di turno che possa testimoniare, raccontare, dire la sua. Vedo esclusive tv sull'argomento, discorsi dei premier. Persino il Covid 19 si era preso una pausa in quelle settimane. Tutto si è mobilitato per accogliere gli afghani, con la pena per chi era rimasto là, in quel paese che è in guerra da tutta la vita ma che ormai ci abbiamo fatto l'abitudine. 

Ecco mentre guardo i bambini ucraini strappati alla loro vita e ancora sotto shock, sballottati da un posto all'altro senza una meta, penso a quanto durerà tutto questo pathos. Penso a quanto tempo passerà tra questa tragedia e la prossima tragedia. Una tragedia scaccia l'altra, un bambino morto per un altro bambino morto. Penso a chi ora si sbilancia a promesse di accoglienza di massa non sostenibili, senza piani concreti, senza rendersi conto che sono persone...  

Se domani qualcuno annuncerà che il peggio è passato, che la minaccia di Putin per l'Europa non è poi così concreta, quando potremo tirare un sospiro di sollievo anche "dalle nostre parti", il popolo ucraino sarà (ancora) il nostro primo pensiero? 

 Ciò che temo è che l'entusiasmo iniziale, l'adrenalina per questa nuova emergenza passerà in secondo piano non appena arriverà qualcos'altro, non appena il panico per il pericolo percepito come troppo vicino non sarà passato. Ma per il popolo ucraino il peggio deve ancora arrivare: perchè sarà proprio quando cominceranno a spegnersi i riflettori che queste persone avranno bisogno di aiuti veri, che ci si ricordi di loro anche quando finirà l'attacco militare vero e proprio. 

La crisi umanitaria che ha raggiunto livelli insostenibili in Afghanistan e che coinvolge migliaia di donne e bambini non si è mai fermata da agosto 2021. Anzi è peggiorata... Ma passato il momento caldo della crisi afghana non se ne parla più, è come scomparsa, inghiottita nel buco nero delle cose che sono passate di moda, come i profughi afghani:  accolti e inseriti in difficili e delicati percorsi di integrazione, adesso vengono spostati di casa, anche a diversi chilometri dalle città di arrivo, spediti da una parte all'altra,  perchè " stanno arrivando gli altri". E allora non importa se un bambino afghano aveva iniziato ad intraprendere una nuova normalità, ad inserirsi nella sua nuova scuola. Non importa più che la sua integrazione vada a buon fine perchè adesso c'è un nuovo bisogno, una nuova emergenza. E lui non è più emergenza. E' cambiata la foto di sfondo nelle home page di chi conta: non c'è più la donna con il burqa, c'è la mamma ucraina. Ma la loro salvezza non è la stessa?

Questa guerra ci deve preoccupare perché ogni guerra è preoccupante. Ma non c'è una guerra migliore di un'altra, non esistono guerre giuste. Doveva arrivare a pochi passi da noi per rendercene conto. Questa guerra fa paura perchè è più vicina, non perchè sia nuova. Perchè non sono queste le prime immagini che vediamo di donne e bambini traumatizzati e strappati alla propria casa, di bombe su case e di macerie... Solo che prima si era dall'altra parte del gioco. Perchè c'è chi decide chi sono i buoni e i cattivi, quali guerre sono giuste e quali no, quali morti sono giustificate e quali no, qual'è l'emergenza che conta. 

FB
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SILENZIO E INDIFFERENZA DEI MUSULMANI: L’AFGHANISTAN DIMENTICATO DAI PROPRI  FRATELLI. Dove sono i paesi musulmani? Per voi il nome dell’Islam esiste solo quando fa comodo. Solo l’Occidente sta dando una mano.

L’Afghanistan è in guerra dal ’79 e nessun paese musulmano è mai intervenuto in aiuto o a sostegno del mio paese. Anche adesso, a distanza di quasi due settimane dalla presa del potere talebano, non ho visto nessun musulmano scendere in piazza per condannare queste violenze e questa situazione drammatica. Non ho visto un accenno di solidarietà per i “fratelli musulmani”: né tra le comunità delle nostre città italiane, né ai vertici dei grandi paesi dell’Islam. Nessun Imam, nessun portavoce ha parlato in tv o ha espresso il suo cordoglio per il popolo afghano. Nessun commento, è come se i musulmani del mondo fossero scomparsi nel nulla.  

Dove sono i musulmani d’Europa? Quelli che sono contro il fondamentalismo, quelli che “io sono contro le violenze.” Perché non parlano e non condannano quello che sta accadendo a Kabul? Può essere che tra le persone che vivono in Italia, ci sia qualcuno che sicuramente, come me, inorridisce al pensiero che i talebani si siano ripresi il paese. Ma se nessun esponente che conta qualcosa prende parola, non serve a niente. E ad ogni modo vi assicuro che, per quanto possa sembrare assurdo, ho sentito anche musulmani dire: “Finalmente un paese conquistato dai musulmani!”. C’è tanta ignoranza, ci sono tanti musulmani ma c’è poco Islam. Di Dio, di Allah, ce n’è veramente poco. Glielo può spiegare qualcuno, a queste persone, che i musulmani gestivano Kabul anche prima? Se qualcuno non lo sapesse, si chiamava Repubblica Islamica il governo guidato da Ghani! Cosa ben diversa dalla Shari’a. L’Afghanistan è uno dei paesi con più musulmani nel mondo, allora perché nessun paese islamico si sta mobilitando per aiutarlo? Io sono musulmano, ed è ovvio che non posso essere contro l’Islam, è la mia religione, la mia identità. Ma sono contro l’omertà e la falsità dei paesi musulmani e delle comunità, che non stanno facendo sentire la propria voce, anzi, sembrano quasi tollerare con indifferenza ciò che sta accadendo a quelli che chiamano fratelli. Anzi, sta accadendo il contrario di quello dovrebbe essere un atteggiamento di aiuto: Arabia Saudita, Pakistan, Iran, Turchia, chiudono le frontiere e danno soldi e armi ai talebani! C’è qualcosa che non torna.

 

E poi ci sono i paesi che i fondamentalisti chiamano “infedeli”: l’Occidente, l’Europa, l’America. Paesi che politicamente parlando hanno sicuramente le proprie colpe… Ma stanno dando aiuto, tanto, e anche a costo della vita, per fare qualcosa. I medici italiani di molte associazioni stanno lavorando senza soste per ricucire le teste ferite dei bambini. In qualche modo, i paesi si stanno riunendo. Dove sono i paesi musulmani, soprattutto quelli ricchi e potenti?? Pesi come il Qatar non muovono un dito per aiutare l’Afghanistan perché in fondo vogliono che i talebani restino al potere! Ma loro stessi non accetterebbero mai di vivere come impone il fondamentalismo talebano: senza musica, senza libertà, senza divertimenti sfrenati. Provate a chiedere all’Arabia Saudita o alla Turchia se vogliono rinunciare alle serate con DJ e modelle sugli Yacht o al divertimento in Dubai. Nessuno rinuncerebbe a questo, eppure permettono che in un altro paese musulmano questo possa accadere. Allora dov’è l’ISLAM? Quello vero?

 

Io ho sempre difeso i musulmani, sono sempre stato dalla loro parte, anche quando l’opinione pubblica faceva di tutta l’erba un fascio. Perché è vero, non tutti sono così. Ci sono tante persone come me, che sanno davvero cos’è l’Islam, e lo sanno non perché sono nati così, ma perché hanno fatto un percorso: non si nasce musulmani, ma ci si diventa, imparando davvero a mettere in pratica i suoi valori.  Tutti gli altri invece, lo sono solo sulla carta. Ora mi darete del razzista, forse del traditore. Ma gli unici traditori siete voi, perché permettete che a Kabul le persone, i vostri fratelli, muoiano come mosche nell’indifferenza. Poi però non scendete in piazza, con il vittimismo che vi contraddistingue, a milioni, solo perché vedete un crocifisso appeso nelle scuole e dovete fare polemica. Perché allora non siete più credibili. Forse, non siete più nemmeno figli di Allah.

F.B

 


ENTRA IN GIOCO DAESH E SU KABUL CADE IL BUIO.
E' UNO SCONTRO TRA DIAVOLI.

26 AGOSTO 2021 

Il peggio sta arrivando. Con l’attentato suicida di oggi all’aeroporto di Kabul entra in gioco Daesh, ovvero l’ISIS, nemico dei talebani, che proprio come i mujaheddin non vuole che i talebani prendano il potere in Afghanistan. Le prime fonti parlano ai giornali di circa 8 morti e molti feriti, in realtà i morti sono almeno 40 e i feriti più di 80. Ma è solo l’inizio, questi attacchi kamikaze sono destinati ad aumentare tragicamente nelle prossime settimane.

Come se non bastasse, oltre all’oscurità dell’anima, Kabul rimarrà presto al buio nel vero senso della parola! Con la caduta del governo afghano, che aveva instaurato accordi con il Tagikistan per la fornitura della luce, il contratto non verrà rinnovato e la città rimarrà al buio nel giro di pochi giorni. Questa guerra a tre fronti che si va creando, con i talebani, i mujaheddin e l’ISIS, riporterà l’Afghanistan in una della più disastrose e sanguinose guerre civili della storia, molto peggiore di quella del passato.

Spero che il mondo non si dimentichi del popolo afghano come accadde nel ‘79... Questa volta si conteranno più morti, ovvero più di 3 milioni di persone, sarà un disastro. Questa volta la guerra la combattono i gruppi più pericolosi, alcuni di questi prima non esistevano. Ci sono più soldi, più armi, più alleati nascosti nelle grandi potenze. L’obiettivo di daesh è distruggere cultura, umanità, religione, usando il fanatismo del loro Dio creato appositamente per diffondere il terrore.

E l’Afghanistan adesso è un terreno fertile per mettere in pratica tutto questo, e sarà solo il punto di partenza di questo cancro che si diffonderà anche nei paesi limitrofi, come l’Iraq. Intanto la propaganda del terrorismo, le immagini in tv, non fanno altro che alimentare l’entusiasmo malato degli atri gruppi terroristici sparsi per il mondo: è un invito a nozze. La situazione in cui si sta mettendo non solo il Medio Oriente ma tutto il mondo è davvero preoccupante. L’Europa deve essere unita come non è mai stata se vuole fare qualcosa prima che sia troppo tardi, e deve cominciare là dove tutto inizia e dove tutto può essere fermato: il Pakistan, la Russia, la Cina.

F.B


I media non sanno cos’è l’Inferno. Troppe falsità e ipocrisie sull’ Afghanistan. Adesso parlo io del mio paese.


Basta con la propaganda mediatica, ora parlo io del paese dove sono cresciuto.

La situazione in Afghanistan è terribile, atroce, e nessun popolo del mondo può davvero rendersi conto di cosa stia accadendo in queste ore. Tutto quello che sappiamo arriva dai media, viene filtrato, riportato senza garanzie di verità. La maggior parte delle emittenti non possiede inviati che possano raccontare la verità in presa diretta. Che poi, qual è la verità?

Ma vi assicuro che le notizie che giungono a me sono (purtroppo) tutte vere e mi arrivano in tempo reale. In questo momento ho tantissimi conoscenti, amici cari e parenti che sono a in Afghanistan a combattere per la propria vita contro gli i talebani. E li sento quotidianamente. Mi riportano ormai da giorni quello che da tempo temevo sarebbe accaduto. Potevo esserci anche io lì, a combattere i talebani in prima persona. Lo penso tutte le volte che arriva una chiamata da Kabul. Chi conosco sta letteralmente combattendo in prima linea. È una guerra maledetta, un genocidio. Ma soprattutto, è un fallimento senza precedenti.

 

Non uso giri di parole quando vi dico che i talebani stanno riconquistando l’Afghanistan grazie alla strategia americana. Gli USA hanno perso la guerra e sanno perfettamente che i talebani non sono cambiati. Non sono diventati paladini della democrazia.  Sono sempre stati criminali e lo rimarranno per sempre.  E lo sapevano anche quando hanno montato la farsa dei dialoghi di pace, facendo accordi falsi in Qatar. In realtà i talebani non hanno mai potuto decidere per se stessi, perché anche loro sono usati e armati da altri paesi. Sono i burattini del Pakistan e dell’Arabia Saudita.  Gli americani non volevano uscire come perdenti. Non volevano deludere l’occidente dall’ennesimo sogno americano.  Non volevano essere visti come i nuovi russi. Così hanno fatto una finta propaganda per uscirne a testa alta. Ma sapevano cosa avrebbero lasciato: un governo instabile che non ce l’avrebbe mai fatta da solo. Non ancora, era troppo presto. Il governo è debole perché è appoggiato da una falsa democrazia. All’interno persone troppo giovani, non adeguatamente preparate ad incarichi importanti, per non parlare della quantità di raccomandati e corrotti anche all’interno del governo stesso. In quale democrazia una persona che diventa ambasciatore o assume altri ruoli importanti viene appoggiato da gruppi criminali? Ma in Afghanistan accade proprio questo.  E non c’è da stupirsi nel vedere con quanta facilità i talebani riescano a conquistare città dopo città. Come può accadere? Accade perché anche all’interno dell’esercito sono presenti persone corrotte che collaborano con i talebani stessi. Il nemico è in casa, sempre. Senza gli aiuti internazionali l’Afghanistan è destinato a tornare nelle mani del gruppo di studenti più potente di tutti i tempi. E tutti gli altri? In questa scacchiera gli altri stati seguono ciò che fa l’America. E se gli USA escono dai giochi, non si gioca più. L’esercito non riesce contenere questa avanzata perché ci sono anche forti lacune nella formazione e nella preparazione dei soldati. Sono rimasti indietro, non sono adeguatamente addestrati come gli altri. Gli hanno messo delle armi in mano pensando che bastasse. Questa volta la vittoria dei talebani è servita su un piatto d’argento. Ma come sempre chi ne farà le spese sarà il popolo: i mujaheddin ricchi scappano dall’Afghanistan facilmente, se ne guardano bene dal restare dove arriva la morte. Per loro basta un aereo ben pagato. E le donne, i bambini che restano lì? Già, perché tra le macerie e le guerriglie c’è anche chi fino a qualche mese fa cercava di andare a scuola, con quella cartella comprata dalle organizzazioni internazionali che ora hanno cambiato la home page dei propri siti web: non c’è più la veduta di Kabul ma quella di un altro paese, magari in Africa, meno complicato da aiutare.  

Questa volta la vittoria dei talebani è stata servita su un piatto d’argento, ben preparato dall’occidente qualche mese fa in Qatar, da chi voleva far credere che con il diavolo si può scendere a compromessi. Forse c’è da chiedersi chi siano in diavoli. Cosa resta di questi vent’anni? Niente. Forse solo quella cartella per la scuola sporca di sangue, il simbolo del più grande fallimento della democrazia, ormai buttata per la strada. Non c’è futuro per chi non può studiare e non c’è studio per chi non ha futuro.


Farhad Bitani

 


Non chiamatelo Islam!
ISIS è il cancro di tutte le civiltà

03/11/2020

Tre stragi a distanza di pochi giorni. Tutti contro innocenti, contro esseri umani: tre religioni diverse colpite dallo stesso nemico. Dopo Nizza, nella giornata di ieri altri due attentati, che si sono svolti con la tessa tecnica, la stessa ferocia, la stessa impronta: quella dei fondamentalisti dell’ISIS.

Vienna viene attaccata in più punti, 4 morti e 17 feriti, vicino ad una centralissima Sinagoga, luogo di culto della religione ebraica. Nello stesso giorno, viene colpito al cuore anche un paese musulmano: strage all’Università di Kabul, con 20 morti e 40 feriti, tra studenti e insegnanti. Ebrei, Cristiani, Musulmani.

Allora quel’ è il vero filo conduttore di quest’odio? La prima cosa che mi è venuta in mente, mentre scrivevo questo articolo, è l’evidenza dei fatti, e questo attentato ne è l’ennesima prova, che non può lasciare dubbi: quello che abbiamo di fronte non è l’Islam! L’ISIS ha ucciso a sangue freddo giovani studenti musulmani. Le loro madri, così come quelle delle vittime di Nizza e Vienna, oggi stanno piangendo i propri figli.  Abbiamo un nemico comune che è il fondamentalismo. E non ha religione, non appartiene a nessuna cultura. Con questi due atti l’ISIS ha dimostrato che non è Islam il cancro che distrugge le civiltà. Le vittime sono sempre innocenti, giovani, studenti, la libertà di espressione, la libertà di culto. Ieri mattina a Kabul tre assassini sono entrati in Università e hanno cominciato a massacrare gli studenti. Perché sanno che imparare è l’arma più potente per un paese che vuole ribellarsi al terrorismo. Ma non chiamateli musulmani! Perché la prima regola dell’Islam, quello vero, è che l’istruzione sia la prima cosa da salvaguardare.

Attraverso il mio libro, attraverso le mie testimonianze, da anni combatto contro questi gruppi, da da anni sostengo che vanno estirpati alla radice. Questo va fatto anche attraverso le persone, che devono capire come nasce tutto questo odio. E’ necessario intercettare i luoghi dove i maestri del terrore addestrano giovani sprovveduti, iniziandoli a questo inferno che si chiama fondamentalismo. Bisogna informare e formare gli studenti sulle loro tecniche di lavaggio del cervello, sensibilizzarli attraverso le testimonianze di chi ha vissuto “le scuole coraniche”. Questi atti terroristici mi preoccupano tanto perché stanno ottenendo il loro scopo: mettere le religioni e le civiltà una contro l’altra.

Ma dobbiamo impedire tutto questo: i terroristi sono persone malate, psicologicamente private della propria identità, spesso drogate, in mano ai loro burattinai, i capi dei gruppi fondamentalisti. Nelle scuole di addestramento finanziate dai capi terroristici, i giovani vengono reclutati con motivazioni religiose, fanatiche. Allah è messo di mezzo perché è un’esca efficace per loro: è questo che rende imbattibili i combattenti creati dall’ISIS, ovvero il fatto che chi combatte per loro, non lotta per soldi o potere, come farebbe la mafia. Lotta per andare in paradiso, lotta per Dio. E loro finiscono per crederci fermamente, fino a morire per questo ideale. Anche se l’obiettivo dei capi resta puramente economico, è il Dio soldo.  

Il mio appello va al Papa, all’ Imam dell’Egitto, ed è quello di unire insieme le forze e dire basta al fondamentalismo, il nemico comune che mira a distruggere ogni civiltà, ogni religione. A volte si pensa che chiudendo i porti si risolverebbe il problema. Certo l’attenzione su chi arriva in Italia deve essere altissima, rigorosa, ma se anche gli si impedisse questa via, l’ISIS, al quel non mancano i soldi e i mezzi, non ci metterebbero molto a spedire i propri Kamikaze in Europa con un biglietto in Business Class. Perché il male, se vuole colpire, trova sempre una strada. E’ necessario estirparlo dalla radice e sensibilizzare le persone più fragili e borderline, quelle che vengono più frequentemente adescate, che sono terreno fertile per questo.

F.B

Attentato a Kabul, attentato all'Umanità

Le ferite che non vengono curate bene, continuano a sanguinare, per poi marcire.E questo lo sa bene l’Afghanistan, un paese che non è mai stato davvero risanato dai paesi occidentali. Hanno nascosto il suo cuore lacerato con una benda, che chiamano democrazia. Ma sotto, la ferita ha continuato ad imputridirsi. L’attentato di ieri è l’ennesimo colpo all’anima: un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione in un grande ospedale di Kabul, aprendo il fuoco nel reparto maternità e uccidendo 15 persone oltre a due neonati. Sì perché il terrore, il male profondo, senza pietà, vuole colpire proprio lì, dove nasce la vita, dove le donne danno alla luce l’unica speranza per un paese morto. Ciò che è più fragile è stato colpito: le donne, i bambini, il personale sanitario. Proprio ieri si festeggiava la giornata mondiale dell’infermiere, e come una beffa, una maledizione, l’ennesima, proprio lì i terroristi hanno colpito, producendo altro male, diffondendo quello che è il virus più potente: l’odio e la violenza, la disumanità. Notizia passata un po' così, senza troppo clamore, perché si sa, tanto in Afghanistan succede spesso, e ciò che diventa abitudine non fa notizia più di tanto. Ci si abitua. Giusto?

Cari americani e cari politici internazionali, siete proprio sicuri di quello che avete fatto? Anche questo fa parte dell’accordo che avete stretto con i Telebani per la pace, qualche mese fa? A cosa è servito? Avete fatto un patto con il diavolo e questi sono i risultati. Persino alcune bestie, quando iniziano a rincorrere le proprie prede, se si accorgono che quest’ultima è incinta, le risparmiano la vita. Ma qui siamo oltre l’umanità e anche oltre le bestie, oltre ciò che può essere sopportabile per l’animo. Guai a chi mette sullo stesso piano la religione a questi animali! Questa non è religione, non è Islam, non è il mio paese. Il patto per la pace è stato fatto con il sangue dei bambini innocenti, degli infermieri che vegliano sulle donne in travaglio.

Il motivo di quest’atto terroristico è sempre legato all’odio per gli “infedeli”, essendo questo ospedale gestito da occidentali. Ma la sanità, la salute, la cura non hanno bandiera, non hanno confine o cultura. E solo delle menti malate e assetate d’odio possono progettare un attentato simile. Che altre prove vi servono, per capire che non si può scendere a patti con persone così? Perché non sono persone! Le armi usate in questo attentato sono di ultima generazione, decisamente costose. Da dove sono arrivate? Chi le ha pagate? O facevano parte dell’accordo?

Vecchi bonus, vecchi regali per siglare finte tregue, foto sorridenti per la prossima campagna elettorale.

Vorrei fare un appello a tutti i giornalisti e ai pochi politici che davvero lottano per la libertà: il terrorismo non va dimenticato in questi paesi, l’Afghanistan non è un lontano ricordo, i terroristi non sono e non saranno mai nostri amici, sia che si chiamino Talebani, o ISIS o in un altro modo. Non possiamo aspettare un altro 11 settembre per sanare questa ferita, mai curata, perché si espanderà come un cancro anche da noi, ancora. Il prossimo ospedale, potrebbe essere il nostro. Ho un grande dolore in questo momento, per tutte quelle mamme che aspettavo di tenere tra le braccia le proprie creature: questo non è odio verso l’occidente, questo è odio verso la vita, verso Dio. Mi piange il cuore, a pensare che i bambini sopravvissuti abbiamo ascoltato come primo suono quello dei Kalashnicov e degli spari, invece che la voce della mamma. Ci sarebbe ancora tanto da scrivere, da dire, da gridare. Ma chi ascolta davvero? Solo attraverso il mio Blog riesco a sfogare questa mia rabbia, nella speranza che anche solo una persona che mi legge, possa nel suo piccolo fare un passaparola, affinché le mie parole arrivino a qualcuno che possa fare qualcosa.

NON ASPETTIAMO CHE IL MALE SI ESPANDA IN MODO IRREVERSIBILE E SIA TROPPO TARDI: prendiamo esempio, cerchiamo di imparare qualcosa anche dall’esperienza con il Coronavirus: non ignoriamo i sintomi, non banalizziamo, non pensiamo “tanto il male è lontano da me e non mi colpirà”. Perché l’odio disumano non conosce confini, non consce vaccini, se non la determinazione nel stroncare dalla radice, una volta per tutte, questa malattia che sia chiama terrorismo.

Farhad Bitani


Schiavi dell'ignoranza

Ieri si è avverato un sogno:  è arrivata una notizia che per molte persone, e soprattutto per una famiglia,  sembrava ormai impossibile: è stata liberata una ragazza, Silvia Romano, prigioniera da quasi due anni di un gruppo di terroristi in Africa. La prima cosa bella, dopo mesi di morte vista in tv. Questa ragazza è riuscita a riabbracciare la sua famiglia, e il fatto che sia stata una donna ad essere stata rapita e ad aver passato questo inferno, è ancora più doloroso. I pericoli e le violenze che possono colpire una donna in queste situazioni sono davvero indescrivibili. E se Silvia è riuscita in qualche modo ad evitarle, è quasi un miracolo. Il grandissimo lavoro dell’intelligence e dei servizi segreti le hanno permesso di tornare a casa e di rivedere i propri cari. Tutti felici di questa notizia, increduli. Finché non l’hanno vista scendere dall’aereo con un sorriso e un chador...Allora è cambiato tutto. Il mio primo pensiero è andato subito ad alcuni giornalisti e ad alcuni politici, che hanno cominciato a vomitare odio e parole, a giudicare senza ritegno: Silvia è sottomessa all’Islam, non si doveva pagare una somma così alta per salvarla, non era poi così triste, allora poteva restare là, ha fatto amicizia con i suo rapitori… Ma tutto questo è solo pura ignoranza, che giudica le scelte di una persona senza sapere le motivazioni che l’hanno spinta a convertirsi, senza avere ma minima idea dello stato psicologico in cui ci si possa trovare in una situazione del genere.

Allora, forse, se i grandi professionisti dell’informazione e i politici avessero, oltre alla presunzione, anche un minimo di sensibilità, di empatia, avrebbero per un attimo frenato la lingua. Silvia è una ragazza, che per quanto abbiamo visto sorridere al suo arrivo, deve essere aiutata per superare il trauma subito. Non può  e non deve essere giudicata. E’ stata forte, ma quello che ha vissuto la segnerà per tutta la vita. Immaginate di stare per 18 mesi chiusi in una stanza, da soli, unicamente nutriti per sopravvivere e senza sapere che ne sarà di voi, del vostro futuro. E poi c’è la paura. Allora forse, chiedere un libro sacro da leggere, può essere una piccola finestra di speranza, un qualcosa che non faccia pensare alla morte. Un compagno di viaggio così, scelto liberamente e senza costrizioni, che in questo caso è stato il Corano, può averle aperto nuove possibilità: tante persone si convertono ogni anno nel mondo, la ricerca di Dio accompagna la vita di tante persone. Il contesto sociale in cui si è trovata prigioniera può aver influito, ma se l’obiettivo era la sopravvivenza del corpo e dell’anima, che importanza ha? Silvia ha vinto la morte.

Perché dobbiamo parlare male di una persona che ha fatto una scelta libera, in un momento di schiavitù? Viviamo in un mondo talmente falso e senza scrupoli, che giudica le persone persino nei momenti più fragili e più delicati, senza mettersi minimamente nei panni degli altri.

Io, Farhad Bitani, ho scelto di combattere contro i fondamentalisti e vi dico: spesso sono stato criticato o giudicato allo stesso modo.  Cari giornalisti e politici, che vi permettete di condannarla per aver trovato un modo per sopravvivere con i terroristi, perché allora vi comportate nello stesso modo con chi i fondamentalisti li combatte? Allora non è questo il punto, allora forse la polemica mira ad altro: non cercate la verità ma un piccolo spazio sulla ribalta, pronti ad andare controcorrente, solo per farvi notare e sembrare più intellettuali e più ribelli. Ciò che importa è che questa ragazza sia salva. O siete italiani solo quando cantate sui balconi? Silvia non è più italiana? Il giornalismo serio dovrebbe lasciare perdere le chiacchiere da bare andare in fondo a ciò che conta: utilizzare queste situazioni per combattere il terrorismo, per saperne di più. Ma come può sentirsi una ragazza che ha vissuto un’esperienza simile, scampando per un pelo alla morte, a leggere i commenti scritti nelle ultime 24 ore? E’ bullismo anche questo, gratuito. Fate del male senza rendervene conto. Silvia ha scampato, forse e non lo sappiamo con certezza, le torture in Africa… e deve subire quelle psicologiche nella sua patria? Le domande su cui focalizzarsi sono altre: come mai è stata liberata dopo così tanto tempo? Come mai, se i soldi c’erano anche prima, solo adesso? Su questo dovrebbe andare a fondo il giornalismo vero, quello d’inchiesta. Non giudicare le scelte di una ragazza che è stata provata psicologicamente e non ha fatto nulla di male. Perché ricordiamolo, Silvia non era là in vacanza, non partecipava ad un reality televisivo: era in Kenya per fare volontariato.  Volevamo Silvia libera ed è stata finalmente liberata: e adesso, volete davvero punirla per sentirsi libera di credere in quello che vuole?  

Farhad Bitani

La stampa è libera, ma non la verità.

Oggi è la Giornata Mondiale della Libertà di Stampa. O forse, dovremmo dire: della Responsabilità di Stampa. Ma quanto sono liberi, davvero, i giornalisti e i giornali?

Tra quelli che non festeggiano questa giornata c’è l’Iran, un paese da sempre contro la libertà di stampa, dove centinaia di giornalisti sono ancora oggi uccisi o torturati per aver raccontato la verità. E’ tutto controllato dalle autorità, e persino adesso, in piena pandemia, le notizie che arrivano da Teheran non sono attendibili, molte mirano a nascondere il vero numero dei contagiati.

E poi ci sono quei paesi martoriati dalla guerra, come l’Afghanistan, dove la libertà di stampa c’è, ma viene abusata e usata a proprio vantaggio dai poteri forti, che possono pubblicare qualsiasi cosa. E anche in Italia, dove la stampa è libera e simbolo di democrazia, la manipolazione di giornali e giornalisti non manca. E’ più subdola forse, agisce in modo invisibile, ma c’è. Sono rimasti davvero pochi i giornali e i professionisti dell’informazione che raccontano la verità. Tante volte, abbiamo visto addirittura colpi di stato, dove la stampa è stata controllata a proprio uso e consumo per cambiare l’opinione pubblica, fomentare il malcontento. Come è successo con il regime di Saddam Hussein, ad esempio, o con i rapporti tra Italia e Gheddafi, un uomo passato in poco tempo da migliore amico di Berlusconi a carnefice da condannare a morte. Dove stava la verità? Di certo altrove.

Anche in Italia, sono pochi quelli che resistano ai diavoli tentatori delle poltrone, dei partiti, dei personaggi politici dal taglio populista.  E soprattutto, sono rimasti pochi veri professionisti! Mai come in questi giorni e in questi mesi, l’informazione e il giornalismo sono stati così fondamentali: attraverso i giornali in edicola, le testate online e i programmi televisivi, la popolazione mondiale ha potuto tenersi aggiornata ed informata sulla delicata situazione Coronavirus.  La stampa è la vera protagonista di questo 2020. E’ stata il filtro, il portavoce tra istituzioni, governo, sanità e cittadini. Ma se il filtro è difettoso (o interessato), cosa succede? Sono arrivate nelle case degli italiani migliaia di fake news, notizie non verificate, notizie che hanno sbagliato modi e tempi. Chi è contro la riapertura, chi è a favore. Forse troppa libertà sta creando troppi giornalisti improvvisati! Tutti possono dire tutto, dappertutto. Questa è definibile ancora stampa? Dove va a finire la verità, in questo passaparola caotico, mascherato da democrazia? 

E allora, chi merita di festeggiare questo giorno? Essere liberi significa avere una grande responsabilità: la parola è uno strumento potentissimo, e chi ne fa una professione, deve essere conscio dell’arma che ha tra le mani.La libertà di parola finisce nel momento in cui va a violare o a scalfire altri diritti umani, la dignità delle persone. La libertà non è più tale, e diventa abuso di potere, tutte le volte che viene usata per denigrare qualcuno, per diffondere razzismo o violenza, per offendere altre culti o culture. Dire ciò che si pensa è libertà. Ma solo se si pensa bene a ciò che si dice! Ci dovrebbero essere delle sanzioni più severe, per chi non rispetta tutto questo. Abusare della libertà di parola è come vietarla. La libertà di stampa significa verità. Se non tutti sono in grado di gridarla o di scriverla, allora qualcuno dovrebbe cambiare mestiere.

Festeggerò la giornata mondiale dalla libertà di stampa, quando si parlerà solo di verità.Festeggerò la giornata mondiale dalla libertà di stampa, solo quando sarà davvero libera. Festeggerò la giornata mondiale dalla libertà di stampa, quando non dovrò più ascoltare, impunito, un giornalista di una testata importante dichiarare che i napoletani sono inferiori.

Oggi non festeggerò, ma dirò invece una preghiera per tutti quei giornalisti che rischiano la vita e si battono per la verità, o che semplicemente la raccontano, senza favori in cambio. In questa giornata, un pensiero va al giornalista Maura Pianta, che ci ha lasciato qualche anno fa. E’ stato il primo giornalista che mi ha intervistato per La Stampa. Ha ascoltato la mia storia, e non l’ha romanzata, non l’ha usata per altro. L’ha semplicemente raccontata al mondo, attraverso un’intervista.  Io avevo una storia da raccontare e lui mi ha ascoltato. Questa è la vera e unica libertà di stampa, che sempre difenderò. Se amiamo tanto la libertà, dobbiamo anche imparare a difenderla.

Farhad Bitani

Dio non è in quarantena,
e non ha tempo per la tv e la politica!

Dio non è rilegato in chiese e moschee, per fortuna, è ovunque abbiamo bisogno di lui. E ha da fare in questo periodo, non ha tempo per i mass media. Mai come in periodi di crisi e di incertezza, aumenta il rischio di strumentalizzare la religione. Il rapporto dell’uomo con Dio è qualcosa di delicato, di ancestrale, di fragile. Come già scrissi settimana scorsa, è proprio con la paura della morte che, anche i più scettici sentono il bisogno di pregare. E proprio per questo, il periodo storico che stiamo vivendo è terreno fertile per chi cerca di usare il credo sincero delle persone per tornaconti personali o mire narcisistiche.

Tante volte, pensiamo che le persone che vivono in un paese democratico non possano avere la mentalità dei fondamentalisti. Ma in realtà, molti politici sono uguali: usano la religione per tornaconti personali, con l’unica differenza che alcuni usano le parole, altri la violenza.

Oggi leggo sui principali quotidiani che Matteo Salvini invita alla riapertura delle chiese per Pasqua, perché la gente ha bisogno di Dio. Queste parole mi hanno fatto ricordare un capo talebano che, proprio l’altro giorno, ha fatto la stessa dichiarazione: “tenete aperte le moschee, non abbiate paura di pregare. Perché se pregate Dio, il virus andrà via. E se chiudete le moschee farete peccato.”

Le due affermazioni sono paurosamente simili! Ed è un attimo cadere dalla religione al fanatismo. Viviamo un un mondo in cui anche la religione è politica. La stessa cosa rovina l’Italia e paesi come l’Afghanistan. La mia non è una critica al partito, del quale fanno parte anche persone coscienziose che stanno facendo con zelo il proprio lavoro, ma alla persona: l’uso della religione non conosce simboli e bandiere, così come l’uso dei valori. 

Anche sulla pagina social del  PD, in questi giorni, è stata citata in modo improprio e fuori luogo la canzone “Bella Ciao”, che ha un significato profondo per gli italiani, associandola con banalità ad una famosa serie televisiva. Mi ha fatto sorridere: è pura propaganda.

Matteo Salvini vorrebbe la riapertura delle chiese per Pasqua “perché la scienza da sola non basta e c’è bisogno di speranza.” E’ vero, la scienza da sola non basta. La fede e la preghiera sono fondamentali. Ma è rischioso dare messaggi del genere in questo momento: da settimane, medici, membri del governo e perfino opposizione, protezione civile, non fanno altro che gridare l’appello “state a casa”. I luoghi religiosi, proprio per i riti svolti e le abitudini ad essi collegate, con tempi di permanenza anche lunghi, sono particolarmente a rischio per la diffusione del Coronavirus.

Ci hanno chiesto, giustamente, di rinunciare alla quotidianità, di fare sacrifici. Ed è vero, per un credente di qualsiasi religione rinunciare ai propri riti spirituali e al proprio luogo di culto è una sofferenza. Soprattutto adesso, che si avvicina il periodo pasquale. Ma è necessario oggi fare tutto questo, e Dio non può che essere d’accordo. E chi sa davvero cos’è la preghiera, chi nel suo piccolo sa cosa vuol dire avere un rapporto con Dio, sa che prima di tutto è una cosa intima, che sta nel cuore prima che in ogni altro luogo.Chi crede davvero non ha bisogno di altro: perché Dio è dentro, non è fuori. Settimana scorsa abbiamo visto Papa Francesco pregare in una piazza vuota, sotto la pioggia. Gli è bastato il cielo. Gesù stesso, pregava nel deserto.

Perché allora devono arrivare messaggi così contrastanti e confusi alle persone? Perché fomentare la gente al malcontento, facendo leva sui bisogni di fede? Perché questo bisogno di ostentarla? Settimana scorsa, con l’Ave Maria in diretta televisiva in un programma di intrattenimento e gossip, si è toccato il fondo della strumentalizzazione mediatica!

A questo proposito mi viene in mente questa immagine: il gregge di pecore. Immaginiamo che il pastore simboleggi il buon senso, il gregge le persone, e il cane il politico, che deve indirizzare il popolo verso la strada tracciata dal pastore. Se il cane cominciasse ad andare dalla parte opposta al pastore, solo per mania di protagonismo, certamente salterebbe all’occhio: e magari le pecore comincerebbero a seguirlo, perdendo il buon senso. Ecco, a volte mi sembra che alcuni politici, pur di farsi notare, vadano apposta controcorrente, cerchino strade alternative che in realtà non fanno il bene delle persone.

Ma forse è arrivato il momento di scendere dal piedistallo del protagonismo: la politica e le sue diatribe non ci interessano più. Basta narcisismo! Non siete più in prima pagina, non avete importanza: ora c’è spazio solo per la tutela della vita e per le cose che contano davvero.E chi pensa di aver bisogno di un contorno artificiale per sentire vicino Dio e pregarlo, allora forse, e mi spiace per lui, Dio non l’ha mai pregato davvero. Smettiamo forse di amare le persone che ci stanno lontane, solo perché non abitiamo la stessa casa?

 

Dio ha dato la mente all’uomo per ragionare: e stare lontani e a casa è ragionevole adesso. E se un politico come Salvini si dichiara religioso, allora dobbiamo rivedere il concetto di religione. Non è solo questione di Messa, rosario, o mandare i figli nelle scuole cattoliche. L’uomo religioso fonda i suoi valori di vita su Dio: volere bene al prossimo, comunicare l’uguaglianza, diffondere amore e giustizia. Prima gli italiani? No, prima l’essere umano.

Lasciateci pregare in pace, fateci ascoltare i medici e le leggi ragionevoli, fate parlare in tv solo chi ha studiato, chi ha esperienza in materia. Il capitolo della politica protagonista è finita un mese fa, quando un virus sconosciuto ci ha ricordato che siamo tutti uguali.

F.B

 


Il cielo piange assieme al Papa

28/03/2020

Ieri sera il cielo piangeva su una Roma deserta, assieme al Papa, che attraversava Piazza San Pietro, irriconoscibile: la grandezza delle opere costruite dall’uomo, sembravano nulla senza l’umanità: pietra inutile in tutta la sua bellezza.

Tutto il mondo, sia quello dei musulmani che dei cristiani, ha visto una scena che non è mai stato abituato a vedere prima: una piazza vuota, quella piazza che non ha mai avuto abbastanza spazio, tante erano le persone che la vivevano tutti i giorni. Il Papa ieri sera trascinava da solo il dolore del mondo. Quest’immagine fa impressione e mi ha fatto pensare a due cose. La prima riguarda la forza del Papa che, anche in un momento così difficile, è comunque riuscito a comunicare speranza a tutti, con parole universali, che parlavano all’essere umano e non a nazioni o religioni.

La seconda riguarda il perdono e il nostro chiedere aiuto a Dio. Spesso siamo così presi da noi stessi che ci dimentichiamo di lui. Pensiamo di bastarci, di poter controllare ogni cosa, senza pensare che in realtà abbiamo sempre bisogno del suo aiuto. Ma la necessità e la voglia di rivolgerci a Dio e di pregare, è insita nell’uomo, sia nei credenti che nei non credenti, e questa cosa la possiamo vedere in due occasioni: nella difficoltà e nella morte. Quando l’uomo si trova a dover affrontare queste cose, l’istinto è quello di guardare il cielo e pensare a lui. Quando si è vicini alla morte, anche chi non crede pensa a lui, e si rende conto c’è qualcosa di più grande e forte.

Il Papa pregava rivolto al crocifisso, e il silenzio della piazza è stato per un attimo interrotto dal passaggio di un’ambulanza, mentre la pioggia cadeva da un cielo blu. L’ho visto come un segno, perché in quel momento la potenza della preghiera e del silenzio erano più forti anche del rumore di quell’ambulanza, erano più forti della morte.

Anche da questi giorni tragici, possiamo prendere il lato positivo. Perchè questa esperienza ci renderà sicuramente migliori: ci ha ricordato l’importanza dell’umanità, ci ha ricordato che l’altro è un bene insostituibile, indispensabile, che senza l’amore e gli abbracci degli altri non siamo niente. La distanza forzata e le lacrime ci hanno ricordato l’importanza della famiglia e delle persone più care, che spesso abbiamo trascurato per altre cose, sicuramente più superficiali e passeggere. Tutto quello che abbiamo è un dono di Dio. Io sono il primo che a questo non ci pensava più, distratto dalla vita di tutti i giorni. Spesso il benessere e la quotidianità ci fanno dare per scontate tante cose, l’abitudine e la possibilità di gestire il tempo ci danno l’illusione di poter essere padroni di tutte le nostre scelte. Ma tutto quello che abbiamo è un dono di Dio, e solo una situazione estrema come questa può farci aprire gli occhi sulle fortune che abbiamo: dalle cose più banali come un bicchiere d’acqua, alle cose più importanti come la libertà. Questo nemico invisibile ha cominciato a togliercela, e solo ora che l’abbiamo parzialmente persa ci rendiamo conto di cosa sia, del suo valore. Ci stiamo accorgendo di tante cose, che la nebbia del consumismo e della globalizzazione avevano offuscato. Stiamo riscoprendo la nostra umanità.

E quest’uomo vecchio, che un po’ zoppicava, nel suo silenzio ci ha voluto comunicare questa speranza. Questo periodo sta facendo tanto pensare anche me. In passato mi sono allontanato da alcune persone, come capita a tutti, per un litigio, per idee diverse, per incomprensioni. E questi giorni mi stanno facendo riflettere sul perdono. E’ un periodo difficile per tutti, non solo per l’Italia, e spero che questa difficoltà diventi una forza.

Non dimenticheremo facilmente l’immagine del Papa, della pioggia e della piazza vuota. Ma è da quella piazza che dovremo ricominciare, da quella preghiera. Non sappiamo bene come sia nato questo virus, ma forse tutto questo è una prova, da superare con forza e fede, per accorgerci delle cose belle che avevamo e stringerle forte domani, per non perderle più, nella folla caotica del mondo.

F.B

La mia seconda patria piange sangue


22.03.2020

Cara Italia,

Vedere tanti morti e le difficoltà che stiamo vivendo insieme mi stringe il cuore. Sei un paese che ha spesso pensato più agli altri che a se stesso, non si è mai tirato indietro, ha avuto sempre il coraggio di andare oltre, osare, creare. Sei piccola cara Italia, ma la tua voce, la tua arte, la tua cultura e la tua umanità è conosciuta in tutto il mondo. Hai scoperto nuovi mondi, addirittura. Sei sempre stata disponibile ad aiutare l’altro, senza pensarci troppo. E ora che devi aiutare te stessa fai fatica, ti senti persa, ma non molli!

Ci sono cose che non si dimenticano. Ricordo bene i soldati italiani in Afghanistan: erano i primi a distribuire cibo e mezzi di prima necessità alla popolazione afflitta dalla guerra. E non si risparmiavano, si davano completamente alla missione che stavano affrontando, proprio come i medici e gli infermieri che in questi giorni vanno avanti, senza sosta. Molti paesi paesi d’Europa hanno la fama di essere più rigorosi, più rispettosi delle regole, più didattici. L’Italia non è così, e a volte dovrebbe farlo quando si tratta di essere più ligi a certe regole. Ma l’Italia è sopra le righe, l’Italia è istinto e improvvisazione. L’Italia è una fuori classe. Ed è proprio questo che deve esserle d’aiuto in situazioni come queste: gli italiani hanno la genialità, la forza innata di trovare soluzioni alternative, di evolversi e trovare nuove strade quando non ci sono. E’ insito nella loro identità. Per questo non si arrendono e hanno un coraggio senza pari.

La gente qui è sempre stata pronta a manifestare e a mettersi in prima linea per difendere i diritti umani. Se l’Italia vede un’ingiustizia, va in piazza e la grida, senza freni. E ora vedere questo popolo che soffre mi stringe il cuore. Io sto seguendo le regole per andare avanti e sconfiggere questo nemico: è ora di mostrare il coraggio in questo modo.  Non è il momento di pensare a noi stessi e ai nostri desideri, per quelli ci sarà tempo quando tutto questo finirà. E lo apprezzeremo di più il tempo che verrà, acquisirà nuovo valore grazie a questi sforzi che non dimenticheremo.

Ma, cara Italia, non puoi più vedere i mezzi militari con i cadaveri e le bare dei tuoi cari che vanno avanti e indietro. Non puoi più sopportare di non dare alle persone che hai amato l’ultimo saluto prima di seppellirli con dignità. So quanto siano care per te le feste, le celebrazioni sante. Abbracciarsi e condividere il proprio dolore è qualcosa di sacro. E questa guerra ti sta chiedendo uno sforzo grande. E’ proprio una guerra invisibile quella che stiamo vivendo, ma la vinceremo.

Oggi ho scoperto che non è solo il nascerci in un paese a renderlo tuo: puoi sentire veramente tuo un paese se ne condividi amore e sofferenza, se ci hai riso insieme e ci hai pianto, se hai portato spensieratezza quando ce n’era bisogno e lo hai messo in riga quando sbagliava. Un paese è tuo se per lui hai fatto sacrifici per renderlo migliore. C’è un tempo per essere figli spensierati della propria patria, e un tempo per essere padri e madri: ora ci è chiesta questa responsabilità.

Anche io non vedo l’ora di abbracciare, di accorciare queste distanze infinite che ci separano. Ma questa distanza finirà, e con questo obiettivo nel cuore, dovremo fare la nostra parte in questa guerra, per tutti i giorni che saranno necessari. Non rimandiamo a domani il sacrificio di oggi, perché se non diamo il giusto valore ai nostri gesti, il domani potrebbe non esserci più.
F.B


#coronavirus #farhadbitani #italia #love "love overcomes distance"

14.03.2020

Coronavirus: Se ogni metro di distanza è un respiro in più

Oggi la città è vuota, tutto è immobile e surreale. L’Italia si è fermata, il mondo si è fermato.Da un giorno all’altro ci siamo trovati a vivere una situazione nuova, diversa, che ci mette alla prova e ci chiede di modificarci, cambiare le nostre abitudini, evolverci in qualche modo. Questi nuovi giorni ci chiedono responsabilità. Questa atmosfera di paura e incertezza, purtroppo per me non è nuova.

Questi giorni di Coronavirus mi stanno riportando in qualche modo indietro nel passato: quando ero un bambino ho vissuto la guerra in Afghanistan e durante quei giorni non si poteva uscire di casa. Bombe, mine, mitragliatrici.  C’era il vero coprifuoco, ma senza supermercati aperti o farmacie.

La casa diventava l’unico posto dove si poteva sperare di sopravvivere. Non potevamo uscire, e facevamo quello che si doveva fare. Non c’erano televisioni, telegiornali, libri da leggere, musica da ascoltare, cellulari per sentire chi era lontano. Non c’era nulla, eppure ero un bambino e ho fatto quello che era giusto.

A noi ora viene chiesto di stare a casa, e per tante cose è un sacrificio, anche io sono a casa da giorni ormai e per certi versi non è facile. Ma in fondo, abbiamo tante fortune che molti non hanno. Vedo ancora tanta gente che non sembra rendersi conto della situazione: a qualcuno pesa non poter fare un aperitivo, ad altri rinunciare alle proprie abitudini. Molti perdono ancora tempo a fare polemiche sterili, a criticare decisioni, a rendere politico quello che non è più un problema di partiti o di bandiere: siamo tutti sulla stessa barca, per una volta, nessuno escluso. Nelle situazioni di emergenza, dove sopravvivere e assicurare la sopravvivenza è l’obiettivo primario, c’è solo posto per l’unità. E la tutela del più debole, del , malato, dell’anziano non ha meno valore della vita di un  giovane.

Arriva un momento in cui non si può più puntare il dito contro chi comanda. Sembra assurdo, ma è come se in questo momento fossimo tutti capitani di questa nave! Le decisioni personali di ognuno di noi pesano su tutti. Restare a casa è un dovere, è un atto di amore verso se stessi e gli altri.

Tanti italiani anni fa criticarono un capitano che abbandonò la sua nave mentre equipaggio e passeggieri affogavano e chiedevano aiuto. Oggi, a mio avviso, chi “rinuncia” a seguire le regole di questi giorni fa come quel capitano, anzi è peggio di lui. Nessun uomo o donna degni di questo nome condannerebbero a morte le persone care, gli amici. Ma chi non resta a casa è come se lo facesse.

Tanti soffrono per la lontananza dalle persone care. Ancora una volta torno con la mente al mio passato e ripenso a mia madre e all’esempio prezioso che mi ha dato: durante il periodo dei talebani, anni difficili tra guerra e violenze, mio padre fu arrestato e mia madre non ebbe sue notizie, se non sporadiche, per quasi due anni. Parliamo di anni, non di settimane o mesi. Anni. Sono stati lontani ma non hanno mai smesso di amarsi, di pensarsi, di aspettarsi, di pregare. Mia madre ha fatto quello che era giusto fare, avere pazienza e aspettare. L’ attesa ha avuto il suo valore e il senso di responsabilità verso i suoi figli e suo marito l’ha fatta andare avanti con forza.

Nessuno al momento ha certezze assolute sull’evolversi di questo virus, ma quello che è certo è che, con l’aiuto della responsabilità di tutti, stando a casa e facendo quello che ci viene chiesto, daremo ai medici il tempo e il modo di prendersi cura di tutti quelli che hanno bisogno. E’ il momento di avere fiducia nella scienza e nelle persone che ne sanno più di noi.

Ancora una volta, come è accaduto spesso e in tante cose della mia vita, mi rendo conto dell’importanza dei piccoli gesti umani: lavarsi le mani, stare a casa, indossare una mascherina, rinunciare a vedere chi amiamo. In fondo ci viene chiesto qualcosa di fattibile. Sono gesti che in questo momento hanno un valore enorme, e la Cina ne è un esempio. A volte è giusto prendere il buono che anche gli altri paesi possono insegnarci, così come l’Italia è sicuramente un esempio per molte altre cose.

Ora non ci sono confini tra i popoli, siamo tutti uguali. Il virus colpisce il potente e il debole.  E la responsabilità di salvare vite è nelle nostre mani. Stare lontani è un sacrificio, ma ogni metro di distanza è un respiro in più.

Farhad Bitani

04.03.2020

Accordo tra Talebani e Americani: inganno per la democrazia

Chi conosce la mia storia sa come ho vissuto a Kabul la mia adolescenza sotto il regime dei talebani. Sono stato testimone di talmente tante violenze e atrocità compiute da questi criminali che quando sento il loro nome associato a quello della “democrazia” per me equivale ad una bestemmia, gridata a gran voce. La voce è quella delle donne e dei bambini che lanciavano urli strazianti per le torture disumane a cui erano sottoposti o a cui assistevano. I talebani non hanno mai perso il potere in Afghanistan e ora, in questi giorni, li vedo sorridenti in televisione che stringono la mano alle potenze USA, seduti a Doha attorno ad un tavolo. Hanno firmato un “accordo” che prevede il graduale ritiro delle truppe americane dal suolo afghano, in cambio della “caccia ai terroristi” in nome della pace, assicurata dal capo politico dei guerriglieri talebani. Criminali che danno la caccia ad altri criminali: l’ennesima presa in giro per un popolo che ha visto l’inferno. Per me e per chiunque conosca la verità questo accordo è come un bacio di Giuda. Nel nome della democrazia.

L’accordo è raggiunto, sembra. Ma non è una pace, non è giustizia. L’americano sta stringendo una mano sporca di sangue, all’insegna del “sogno americano”. O forse è solo un incubo da cui non possiamo svegliarci e in cui sta ripiombando il mio paese. Ma in periodo di campagna elettorale, si sa, il messaggio che conta per tenere il sedere incollato alla Casa Bianca è “riportiamo i nostri ragazzi a casa!”. Più soldati tornano sani e salvi, più voti per Donald. E per il momento si può lasciare al suo destino anche l’Afghanistan, terreno di guerra e di giochi politici per ben 19 anni.

Gli americani hanno coinvolto più di 40 paesi nel mondo per una guerra in un paese dimenticato dal ‘79. Il mondo ha speso miliardi di dollari in questa guerra, prese dalle tasche dei cittadini europei. Una dei conflitti più inutili del Medio Oriente. E ora questo accordo accetta, sopporta, condivide, mette una pietra sopra a tutto quello che è stato il passato. Ma non si chiude una ferita aperta senza averla sanata all’interno, perché non potrà che marcire. Dopo che l’America ha cominciato a perdere sul campo, decide di uscire e accordarsi con i criminali. Ed ecco che i talebani, i nemici giurati, escono magicamente dalla Black List.

Ma qui la a guerra l’ha persa la democrazia.  Tutto questo mi ha fatto molto riflettere nelle ultime settimane. Sono arrivato all’amara conclusione che la democrazia occidentale non esista, è un inganno. Gli americani accettano di patteggiare con i talebani ma non vogliono accettare la Repubblica Democratica dell’Afghanistan. Questo popolo sarà ancora teatro di guerra, le violenze non finiranno, non ci sarà futuro per le donne che non vorranno ubbidire alla Shari’a.

Ho ripensato alle mie scelte. Grazie a Dio, nel 2011, ho deciso di togliermi la divisa. Se non l’avessi fatto, oggi sarei Capitano dell’Esercito Afghano e non potrei che vergognarmi di far parte di tutto questo. Solo chi ha visto, chi ha provato, chi ha sentito, chi sa la verità può rendersi conto del patto col diavolo a cui abbiamo assistito in questi giorni.

Ieri leggo su La Repubblica che “il presidente Usa ha avuto "una conversazione molto buona" con Baradar Akhund, vice capo politico dei guerriglieri. Se questa “conversazione molto buona” è la nuova “democrazia”, allora non siamo sulla strada giusta. E se non si può cambiare strada bisogna cambiare la mente delle persone, del popolo afghano, toglierlo dall’ignoranza e farlo pensare con la propria testa. E poi la strada giusta ci penseranno loro a trovarla. E se non la troveranno, ne costruiranno una.
FB.